What a Wonderful Jazz!

What a Wonderful Jazz!

Un’Intervista / Racconto di Enrico Conti

LINDY HOP is Black!

Dovremmo partire dal 1500 se volessimo raccogliere tutti i semi che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di questo ballo, ma dovremmo stare qui a scrivere per almeno una mese senza mai andare a dormire. C’è chi ha provato ad attribuire il merito ai bianchi, a Ray Bolger ad esempio, ballerino e attore bianco dei vecchissimi Show Vaudeville, ma la teoria è stata subito abbattuta da Marshall Stearns che afferma di aver visto anni prima in un documentario girato in Nigeria da Lorenzo Turner, un professore del Nord Carolina dell’università di Roosevelt, un gruppo di ragazze di colore che eseguiva già danze molto simili al Lindy Hop ( ballo anteceduto dal Texas Tommy, che veniva eseguito già dal 1910 a San Francisco). Se avete qualche dubbio potete togliervelo con qualche lettura approfondita sulla storia dei riti del Ring Shout fino ai balli Cake Walk, Hugging Dances,Texas Tommy fino ad arrivare al Lindy Hop e se dovesse venir fuori qualche dubbio, passate direttamente alla Calinda o alla Banboula che già si ballava nella famosissima Congo Square di N.O. già nel 1880. Non vogliamo mettere in dubbio che il Jazz si stato anche bianco, per carità, Spagnoli, Italo-Americani , Francesi e anche molti Ebrei hanno contaminato moltissimo questa cultura e New Orleans ne testimonia il fatto, sia sotto l’aspetto musicale che quello delle Danze.

La Jazz Age degli anni’20 giocò delle carte importantissime

E’ il momento storico azzeccato per iniziare a suonare, cantare o ballare il Vintage Jazz!
Storico? Si storico, perchè proprio negli anni ’20 del secolo scorso il Charleston e il Lindy Hop conquistarono il cuore di New York. I giovani iniziarono a ballare in coppia questi balli sfrenati caratterizzati da un ritmo costantemente pulsante sui suoni grezzi e selvaggi di Duke Ellington e tanti altri. Ma perchè proprio N.Y.? Semplice: nel 1910 iniziò la migrazione di massa degli afroamericani che cercando lavoro si spostarono dal sud al nord con le loro ricche tradizioni musicali e così “il blues del delta” arrivò a Chicago, ST.Louis, Kansas City, Detroit e New York. Il Blues iniziò ad arricchirsi sempre di più, a prendere una forma più “urbana”, più orecchiabile e meno campagnola (“Ma” Rainey per intendersi). Soprattutto nel 1917 quando venne chiuso il quartiere di riferimento per i musicisti (e non solo!) STORYVILLE, quasi tutti i musicisti che ci lavoravano viaggiarono verso nord alla ricerca di lavoro, compresi Jelly Roll Morton e Tony Jackson. Gli strumenti musicali si fondono con le voci blues, nasce l’Hot Jazz, viene fuori St. Louis Blues o Jogo Blues di W.C.Handy e nel 1918 tutto inizia a prendere forma e sicurezza; venne chiamata Jazz Age o Early Jazz o Roaring ’20, come preferite. Iniziano le contaminazioni, tutto cresce e si sviluppa molto velocemente e infatti nel 1920 apre il COTTON CLUB (bellissimo, ci sono stato e vi consiglio di andarci) e sempre nel 1920 viene finalmente registrata una voce femminile “di colore” con la canzone CRAZY BLUES di Mama Smith. Le big band da Kansas City a New York erano innumerevoli, nel 1926 apre anche il SAVOY BALLROOM luogo di riferimento per gli appassionati del Ballo, dove si faceva entrare l’affollatissimo pubblico con un biglietto dal costo di mezzo dollaro e i ballerini di colore intrattenevano il pubblico bianco con il Lindy Hop nel loro”Cat’s Corner” a disposizione. Possiamo dire che la Jazz Age è durata dal 1918 (fine della prima guerra mondiale) al 1929 (inizio della seconda grande depressione economica, “Big Crash” in America) e che la fusione di diverse etnie hanno reso il Jazz e il Blues una cosa unica da cui tutti i musicisti e ballerini ancora oggi si alimentano per inventare sempre qualcosa di nuovo

Due righe sul Jazz?

Il Jazz è in continua evoluzione e sotto un punto di vista vorrei dire: Peccato! Mentre noi stiamo parlando il Jazz continua a trasformarsi. Il Jazz oltre ad essere stato il primo “ordigno” musicale che ha infranto nella società l’invalicabile barriera razziale, è ancora oggi l’erogatore da cui i più grandi musicisti, dall’inizio del XX secolo si sono orientati e serviti (purtroppo a volte anche in malo modo) per inventare nuova musica. Sarebbe stato bello se lo sviluppo del Jazz e del Blues si fosse congelato negli anni 40, quando ancora si dava valore ai suoni originali facendoti ricordare gli albori di King Oliver, Pete Johnson o le voci di Memphis Slim e Big Bill Broonzy per esempio.

Qual’è la tua canzone preferita e Artista o Gruppo?

Non ne ho. Mi piace ascoltare la buona musica a prescindere da chi la suona o la canta. Potrei dire di avere qualche maggiore attenzione alle rare venature di una canzone o un gruppo, cioè, mi fomenta moltissimo quando ascolto un brano sconosciuto suonato o cantato da un Artista “scontato” dove all’interno la melodia o la ritmica della canzone è a lui o lei insolita o prende venature particolari; ma per il resto giudico una canzone in base all’emozione che mi trasmette, quindi c’è da dire che dipende molto dalla situazione morale: la musica va a periodi, ma penso che sia cosi un pò per tutti. Questo periodo per esempio mi sono fissato con un brano sudafricano di Miriam Makeba, “Pula Kgosi Seretse”, mi rilassa molto.

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